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Questa inchiesta di Raffaella Cosentino è stata pubblicata dal sito www.repubblica.it. Dopo questa denuncia il centro è stato chiuso.

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In questo video la visita al Cie di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, effettuata dalla campagna Lasciatecientrare con i parlamentari Sarubbi del Pd e Monai dell’Italia dei Valori insieme a numerosi rappresentanti delle istituzioni locali.  Il servizio è di Giogio Santelli.

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da www.repubblica.it

di Raffaella Cosentino

ROMA - Svuotato e chiuso. E’ quanto ha deciso il ministero dell’Interno per il centro di identificazione e di espulsione di Lamezia Terme (Cz), gestito dalla cooperativa Malgrado Tutto   e al centro di molte polemiche e interrogazioni parlamentari, dopo la denuncia di violazioni dei diritti umani dei migranti trattenuti. Il team di Medici per i diritti umani 5  (Medu) aveva infatti trovato nella struttura: una gabbia in cui rinchiudere le persone che volevano farsi la barba 6, un disabile che faceva fisioterapia con una bottiglia d’acqua legata al piede e una cella di isolamento terapeutico chiusa da lucchetti e filo spinato. La prefettura di Catanzaro conferma che sabato 20 ottobre il Cie sarà chiuso.

Al momento nessun nuovo bando. Per il momento non viene indetto un nuovo bando di gara e non è certo che la struttura rimanga un Cie. Ufficialmente la motivazione della chiusura è la mancanza di un ente gestore. Lo scorso 22 giugno è fallita la gara di appalto, alla quale aveva partecipato solo la cooperativa Malgrado Tutto, attuale gestore e anche proprietario della struttura. Il Cie è costruito su un suolo di proprietà del comune dato in comodato d’uso alla cooperativa per 99 anni, ma gli edifici sono di Malgrado Tutto. La cooperativa non si è aggiudicata l’appalto perché parte della documentazione presentata era irregolare per problemi con la concessione edilizia. Al di là del fatto che questa situazione venga sanata, il ministero per ora non ha deciso di indire una nuova gara per la gestione. Di fatto, da giugno a oggi il Cie ha funzionato senza appalto, con i relativi problemi di fondi.

I migranti non sono stati rilasciati. Alcuni sono stati rimpatriati. Fra loro, una persona disabile con una protesi ad un’anca per una grave infezione contratta prima di entrare nel Cie. L’uomo, fotografato dai Medu mentre faceva fisioterapia improvvisata con una bottiglia d’acqua, è stato rimpatriato in Marocco contro la sua volontà e nonostante le precarie condizioni di salute. Gli altri saranno internati in altri Cie, tra cui quello di  Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, riaperto da poco tempo, al termine di una chiusura di due anni per i danni provocati dalle rivolte. L’Ong Medu esprime “soddisfazione per la chiusura del Cie di Lamezia Terme, visitato solo poche settimane fa e, come rilevato dal team Medu, del tutto inadeguato a garantire condizioni di vita dignitose alle persone trattenute”. E auspica che la chiusura provvisoria diventi definitiva e che il Ministero dell’Interno accolga la proposta del sindaco di Lamezia Terme di riconvertire quello che è stato fino ad oggi un luogo di esclusione, in un luogo di solidarietà e integrazione per i migranti.

“Deve essere il primo passo”. In una nota, Medu “auspica altresì che la chiusura del Cie di Lamezia Terme sia il primo passo verso il superamento di un sistema, quello della detenzione amministrativa, che si è dimostrato nel corso degli anni del tutto inefficace nel contrastare l’immigrazione irregolare ed incapace di tutelare la dignità e i diritti fondamentali dei migranti trattenuti, che in un paese civile e democratico dovrebbero sempre essere garantiti” . Le denunce dei Medici per i diritti umani, seguono quelle fatte nel 2010 da Medici senza frontiere 7  che già allora ne aveva chiesto, inascoltata, la chiusura al Viminale. Molte le voci di protesta che si erano levate dopo la diffusione della foto della ‘gabbia per radersì inventata dall’ente gestore, tra cui quella del sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza. Numerose le interrogazioni parlamentari presentate per chiedere spiegazioni e la chiusura al ministero dell’Interno, da quella di Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato, a quella depositata da sei deputati radicali eletti tra le file del PD. Una è arrivata anche alla Commissione europea, da parte della Presidente della commissione antimafia europea Sonia Alfano.

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da Rete Primo Marzo

La Rete Primo marzo ancora una volta al Cie di Modena per denunciare casi e puntare l’attenzione sulla privazione dei diritti umani, diritto alla cura e alla salute, diritto di libera circolazione delle persone recluse nei centri d’identificazione ed espulsione.
Nella struttura modenese vi sono all’oggi 35 persone in maggioranza giovanissimi: sono infatti oltre l’80% i ragazzi nati fra il 1973 e il 1990, in prevalenza tunisini (40,7%) marocchini (28,8%) nigeriani (6,8%) di cui il 20% (dati da luglio a fine settembre) provenienti dal carcere. Fra questi, sono due i casi degni di particolare attenzione che ci parlano da un lato dell’arrivo dei minori sul suolo nazionale, e dall’altro dello sfruttamento del lavoro migrante.

“Il primo riguarda un ragazzo giunto in Italia all’età di otto anni, che ha completato tre cicli di studi arrivando alla maturità e che dopo 22 anni qui, benché abbia la famiglia residente sul territorio, è privo di permesso di soggiorno. Ci chiediamo: non aveva identità? Non era identificabile? Se ha commesso reati non dovrebbe comunque essere al Cie – ha dichiarato Cécile Kyenge, portavoce nazionale Primo marzo – L’altro è relativo a un ragazzo proveniente dalla Nigeria che lavorava da dieci anni come operaio in una ditta della provincia, il cui datore non ha mai voluto procedere alla regolarizzazione e il ragazzo non poteva pagare la cifra richiesta, come invece hanno fatto gli altri colleghi: è stato preso sul posto di lavoro, ma l’aggravante è data dalla mancanza di conoscenza riguardo alle procedure di richiesta di asilo politico per motivi religiosi di cui, invece, avrebbe diritto. Da questo punto di vista risulta particolarmente importante l’avvio dello sportello legale proposto dalla garante Desi Bruno”.

In merito al caso del ragazzo sub sahariano detenuto al Cie e poi ricoverato in ospedale la Kyenge ha continuato spiegando la situazione: “dopo la messa in osservazione della scorsa settimana, oggi sarà preso in considerazione il suo caso per valutare cosa fare dal punto di vista medico specialistico e giuridico, ed individuare quale percorso di tutela avviare sul territorio. Nel Cie hanno poi rafforzato le misure di sicurezza cambiando e cementando le sbarre, riconfermando così la misura detentiva dei reclusi. La rete Primo marzo ribadisce con forza la necessità di arrivare ad una abrogazione della legge Bossi-Fini nazionale e a livello europeo alla chiusura dei Cie: in questo senso facciamo nostre le dichiarazioni del Sen. Di Giovan Paolo sulla reintroduzione dei permessi per ricerca lavoro”.

Il Sen. Roberto Di Giovan Paolo, membro della Commissione Speciale del Senato per i Diritti Umani, che ha visitato il Cie modenese sabato scorso assieme alla Kyenge e all’avvocata Alessandra Ballerini, si è infatti pronunciato in modo netto sulla chiusura del Cie e nell’ambito della formazione per amministratori organizzata dal Pd sabato scorso, ha affermato: “I Cie sono un costoso fallimento. Introducendo lo sponsor per il lavoro e una identificazione fatta nei paesi di origine servendosi della riorganizzazione dei consolati e dotando i migranti di un biglietto di viaggio con pds per ricerca lavoro, ad esempio di 6 mesi più 6 mesi, con un pagamento della tessera sanitaria per Ausl in cui risiederà il migrante, si potrebbe ovviare agli sbarchi togliendo spazio agli scafisti. Se si accettasse l’immigrazione come ricchezza eviteremmo di perdere forza lavoro, nuove idee e creatività in un momento in cui vi è forte bisogno di crescita economica – ha detto il Senatore – Compiendo questo avanzamento d’identificazione volontaria nei paesi di partenza, inoltre, si restringerebbe il campo di chi delinque e l’annosa opera dei controlli da parte delle forze dell’ordine. Certo è una soluzione che postula un cambio di mentalità e un governo politico che abbia voglia di fare questo passaggio” ha concluso.

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