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20 giugno 2014 - Intervista allo scrittore Tahar Lamri

“L’incontro può essere solo quello umano”. Attraverso la voce dello scrittore, narratore e giornalista Tahar Lamri, la Campagna LasciateCIEntrare, invita a riflettere sulla condizione, spesso sconosciuta, di moltissimi migranti e rifugiati, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, che si celebra con un appuntamento annuale il 20 giugno. 

La data, riconosciuta a livello universale e voluta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rappresenta un impegno per riaffermare principi e diritti che sono di tutti. Soprattutto di coloro che a causa di guerre e violenza sono costretti a lasciare il proprio paese e separarsi dai propri cari.

Scelte complesse, in un percorso di vita, per cercare protezione “Il diritto elementare  è quello del camminare e viaggiare. Se i nostri antenati non avessero camminato noi non saremo qui. E’ un diritto fondamentale, sancito da tutti i trattati. Il rifugiato non è uno che viene a chiedere l’ospitalità, ha il diritto all’ospitalità. L’Italia ha ratificato la convenzione di Ginevra, quindi deve accogliere chi fugge dalla guerra”.

Così ci racconta Tahar, anche lui migrante in Italia “Io ho scelto liberamente di vivere in Italia, per me è una terra di libertà, al di là della libertà che si chiama democrazia e diritti, la vera libertà è quella interiore, interna che abbiamo dentro di noi”.

Tahar ha scelto l’Italia, ma s’immedesima nei migranti che si mettono in viaggio “Non parlo solo di rifugiati, ma di chiunque si metta in viaggio. Tornando a me, anch’io potevo essere in fondo al mare, nel Mediterraneo che è diventato una fossa comune. Potevo essere dentro un CIE, essendo un immigrato, potevo essere lì e non avere oggi l’opportunità di parlare davanti alla telecamera. Dentro di me c’è il disagio nel parlare di CIE, ma bisogna parlarne”.

I principi della convenzione includono anche il divieto di espellere o di rimandare indietro i rifugiati in territori dove le loro vite sarebbero in pericolo a causa della loro razza, religione, nazionalità o orientamento sessuale. I migranti e i rifugiati non sono dei numeri, sono bambini, donne e uomini, che vanno alla ricerca del diritto alla vita e dell’ospitalità.

Anche la Bibbia 36 volte cita lo straniero all’ospitalità. Mettere delle persone dentro dei luoghi del non diritto e farle diventare non persone, è una cosa difficile anche parlarne. Sapere che un mio fratello, è in un centro temporaneo e può essere espulso da un momento all’altro, solo perché ha viaggiato, mi toglie il fiato e la parola”.

E’ infatti Ingiustificabile sotto tutti i punti di vista “La carta fondamentale dei diritti dell’uomo dice che la libertà di circolazione è di tutti. Se ci pensiamo bene la circolazione ce l’hanno tutti gli europei, ma non ce l’hanno gli scarti umani, cioè quelli che gli europei e gli occidentali hanno deciso di far diventare scarti umani”.

Ci domandiamo e chiediamo a Tahar, dove può essere l’incontro?

Possiamo scrivere tutte le leggi più belle del mondo ma l’incontro è quello umano”.

L'adesione a questo incontro può solo salvare vite umane.

Il link dell’intervista video a Tahar Lamri:

http://www.youtube.com/watch?v=kQYexxOpQnY

 

 

Per l' occasione del 26 giugno, Giornata Mondiale contro la Tortura, la Campagna LasciateCIEntrare vuole lanciare una riflessione sul tema, partendo dalla denuncia di quei luoghi che calpestano la dignità e i diritti delle persone: i CIE.

I Centri di identificazione ed espulsione rappresentano una violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo:

 “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Ce lo spiega bene Lassad, che da uomo libero è finito al CIE di Ponte Galeria, vivendo così sulla sua pelle un trattamento inumano che mai dimenticherà. Prima di Ponte Galeria era transitato per Bari e Trapani.

“Mi sono trovato nel CIE con delle persone con le bocche cucite. Mi sono domandato, dove sono? In Afghanistan, a Beirut!? Non è logico che nel 21esimo secolo esistano questi luoghi chiamati CIE e che delle persone per far sentire la propria voce arrivino a compiere gesti estremi, persone che si cuciono la bocca con ago e filo per protesta. Ma dove siamo?!”.

Siamo nei CIE, strutture che nascono per trattenere gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento, ma che in realtà non sono nient’altro che dei lager autorizzati. Gli immigrati reclusi vivono senza dignità, senza diritti.

Entrano ed escono dal CIE: “Non hai un documento e ti mettono li per un anno e mezzo. Massimo 6 mesi a Ponte Galeria. Solo perché non hai documenti devi passare il resto della vita ad uscire e rientrare nei CIE”.

Lassad vive in Italia da 22 anni e questa nazione con la sua politica la conosce bene “il bello della politica italiana: parole parole parole ! I CIE non sono la soluzione! 41 euro, vale così poco la vita umana?

Siamo la Banca d’Italia, entrano soldi, siamo la conseguenza di una causa, dunque siamo un prodotto e come prodotto ha un suo prezzo”.

Vite umane spezzate, rinchiuse senza nessuna colpa, si trovano a dover contare le loro sbarre: “Passo la mia giornata a contare le sbarre che sono attorno al perimetro della mia stanza. Per la precisione sono 206, su 18 passi e mezzo di lunghezza, su 8 passi e mezzi di larghezza, questo è il perimetro della mia stanza” così ci racconta Lassad.

Lassad è ora di nuovo un uomo libero, gli domandiamo “cosa diresti ai tuoi compagni che sono rimasti nei CIE?

L’arma è diventata troppo sottile. Cercano di colpirvi nell’anima, sfiancarvi la resistenza. Questi posti ti spezzano l’anima… Tenete duro!

La Campagna LasciateCIEntrare chiede che non vengano riaperti i CIE di Gradisca d'Isonzo, Milano, Palazzo S.Gervasio e che chiudano tutte le strutture di detenzione amministrativa per stranieri. #MAIPIUCIE

http://www.youtube.com/watch?v=VPpqbV0sa-A#t=262

Il reportage pubblicato sul Piccolo Viaggio dentro il Cie, il mostro che non chiude” e la notizia della riapertura nel 2015 del Cie di Gradisca ha innescato reazioni accese. Di seguito le dichiarazioni del capogruppo del Consiglio Regionale On. Giulio Lauri.

IL PICCOLO  - Sel si scaglia contro la riapertura del CIE

30 giugno 2014 — pagina 14

TRIESTE - Non poteva non innescare reazioni accese la notizia della riapertura nel 2015 del Cie di Gradisca, oggetto ieri di un ampio reportage pubblicato sul Piccolo. Il primo a far sentire la propria voce sul “ritorno in servizio” del centro per immigrati clandestini, attualmente interessato da lavori dopo i danni provocati dalle rivolte dello scorso anno, è il capogruppo di Sel in Consiglio regionale, Giulio Lauri. «Avevamo in programma a breve una visita di consiglieri regionali, sindaci e rappresentanti delle associazioni umanitarie che aderiscono alla Campagna “LasciateCIEntrare” a Gradisca proprio domani, ma qualche giorno fa la Prefettura ci ha chiesto di rimandare il sopralluogo con la con la motivazione che non aveva personale per accompagnarci e assicurare la nostra sicurezza - afferma Lauri -. Ma forse non volevano che fossero proprio le organizzazioni umanitarie a denunciare ciò che sta avvenendo. Le immagini del Cie pubblicate oggi (ieri ndr) dal Piccolo sono ancora più agghiaccianti di quelle che rimangono nella memoria dei pochi consiglieri regionali, deputati e giornalisti che hanno potuto visitarlo quando ancora era in funzione: per come è stato concepito, per come è stato costruito e ancor di più per come lo stanno ristrutturando, il Cie è una struttura incompatibile con il rispetto dei diritti umani e non deve riaprire, mai più. E si badi bene che, ampliando quello esistente, non può essere trasformato nemmeno in un Cara, il cui scopo è l’accoglienza per i richiedenti asilo e non può pertanto essere compatibile con condizioni di trattamento che rasentano la tortura e che hanno standard molto peggiori a quelli di un carcere».

Di qui un appello forte e chiaro al governo: il Cie di Gradisca non deve riaprire.

«Il ministro Alfano e l’esecutivo - continua l’esponente di Sel - prendano atto che questo territorio e la popolazione del Friuli Venezia Giulia non vogliono violazioni dei diritti umani sul suo territorio. E mettano a fuoco che i problemi legati all’immigrazione vanno affrontati su scala europea e con strumenti diversi da quelli individuati nella Bossi - Fini, e che il semestre di presidenza italiana può dare un impulso in questa direzione. Il governo ricordi poi che i lavori avviati in una struttura che non deve riaprire, e in tutti gli altri Cie in Italia, assieme alla loro gestione rappresentano uno spreco enorme di denaro pubblico».

Disinformazione e strumentalizzazione: la poca e cattiva informazione sui CIE si alterna a lunghi e preoccupanti silenzi dei media, anche quando si denunciano fatti gravissimi. Su Melting Pot Europa, Tenda per la Pace e i Diritti - Peace and Human Rights Tent ci propone un’attenta analisi sull'ultimo pezzo de Il Piccolo, a firma di Roberto Covaz, dedicato al CIE di Gradisca d'Isonzo e fa chiarezza su cosa realmente accaduto dietro quelle sbarre.

Di seguito il pezzo pubblicato su www.meltingpot.org, il 3 luglio 2014

Gradisca d’Isonzo - Il prezzo della disinformazione

a cura della Tenda per la Pace e i Diritti di Gorizia

Da giorni fioccano le dichiarazioni e le analisi, riproposte anche da altri giornalisti, sull’articolo di Roberto Covaz pubblicato su Il Piccolo il 29 giugno scorso. Come associazione da sempre attiva sul territorio siamo ormai stancamente abituati alle mistificazioni del giornalismo locale sulla questione immigrazione, siamo abituati a vedere pubblicate notizie in cui si esaltano le azioni “criminali” solo e specialmente di chi non ha la cittadinanza italiana, siamo abituati a fare uscire comunicati stampa che poi vengono tagliati, confusi e male interpretati ogni volta che parliamo di CIE, siamo abituati a lunghi e preoccupanti silenzi anche quando denunciamo fatti gravissimi, che se avvenissero fuori da quelle mura troverebbero una risonanza mediatica molto diversa.
Il ruolo dell’informazione nel giustificare le politiche securitarie degli ultimi governi in materia di immigrazione (alimentando un clima di disinformazione e paura assolutamente incomprensibile) è assolutamente primario, e pertanto sentiamo di dover proporre un’analisi ragionata di quanto letto nell’articolo.

- 1. “Era, forse tornerà ad essere popolato da persone non identificate, immigrati extracomunitari senza un nome né un cognome, che sul territorio italiano si sono macchiati di crimini anche gravissimi e che hanno scontato la pena in carcere.”
Il CIE di Gradisca è stato aperto nel 2006, eppure si continua a far passare il messaggio che esso sia una sorta di “carcere per gli immigrati” che hanno commesso crimini sul territorio italiano, e che, per ragioni sconosciute, dopo aver scontato la propria pena in carcere, subiscono una seconda detenzione per il solo fatto di essere “immigrati”. Come i giornalisti del Piccolo dovrebbero sapere, i CIE sono centri in cui viene praticata la detenzione amministrativa. L’unico “reato” che le persone hanno commesso per essere detenute nei CIE è quello di non essere in regola con il permesso di soggiorno, e questo non ha alcuna valenza penale né fa di loro dei criminali. Nei CIE abbiamo incontrato persone che vivono in Italia da vent’anni e che, a causa della crisi, hanno perso il lavoro e quindi il permesso di soggiorno, se questi sono crimini gravissimi allora metà del paese è attualmente criminale, italiano o straniero che sia.
La presenza di ex detenuti all’interno dei CIE è inoltre un’irregolarità che deriva da una mancata applicazione della circolare interministeriale Amato-Mastella del 2007, in cui si stabiliva che l’identificazione dei cittadini senza permesso di soggiorno in stato di detenzione venissero effettuate in carcere e non, come invece continua essere prassi, nei CIE, sottoponendoli quindi ad un’inutile (e costosa per lo Stato) doppia detenzione.

- 2. “Recentemente, in commissione Schengen della Camera, il ministro dell’Interno Alfano aveva lasciato intendere che il Cie di Gradisca non riaprirà, se tale è la volontà delle istituzioni locali. Ma a leggerla più attentamente quella dichiarazione non sembra così netta. Anzi, il Cie riaprirà”.
E’ curioso che Il Piccolo abbia riportato frasi che il Ministro Alfano non ha mai pronunciato, quando a chiunque era accessibile da subito il video della sua udienza presso il Comitato (e non Commissione) parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione da cui si evinceva chiaramente che quell’annuncio non era mai stato fatto. Questa la dichiarazione di Alfano: “La struttura attualmente necessita di lavori per il ripristino della sua piena funzionalità a seguito degli episodi di danneggiamento connessi ai disordini registratisi al suo interno nell’ottobre e novembre scorsi. L’ipotesi di una riapertura del centro e di una sua possibile destinazione all’accoglienza dei richiedenti protezione, in considerazione del loro crescente numero, è oggetto di un’attenta riflessione da parte del Ministero dell’interno, che non mancherà di confrontarsi con gli organi di governo locale.”

- 3.“Si stanno effettuando lavori per 800 mila euro dopo le rivolte dell’estate-autunno del 2012. Nel settore rosso un gruppo di extracomunitari incendiò i materassi composti da materiale ignifugo ma che per effetto della liquefazione sprigionarono un fumo acre, denso, nero. Una nube tossica. Poi si arrampicarono sui tetti a gridare la loro disperazione. Prima, però, alcuni devastarono la moschea interna alla struttura. Un’azione di inaudita violenza per i musulmani, segno di quanto fosse incontenibile la loro rabbia. “
Il Piccolo confonde evidentemente le date, perchè le rivolte a cui fa riferimento sono quelle dell’estate-autunno 2013. Il Piccolo non ricorda inoltre, o forse non ritiene rilevante, menzionare che durante i tre giorni di incendi che devastarono parte della struttura nel novembre 2013 non ci fu nessuna evacuazione: i detenuti rimasero a respirare il fumo, quella “nube tossica”, per tre giorni, prima che si decidesse di sgomberare il centro. Durante quei tre giorni, una sessantina di persone venne stipata nei corridoi interni della struttura, perchè le stanze erano inagibili, mentre il fumo continuava a salire. Se si fosse trattato di una scuola, l’edificio sarebbe stato sgomberato immediatamente e dichiarato inagibile. Ma dentro al CIE c’erano solo 60 “immigrati”.
Per quanto riguarda la moschea, durante le ripetute visite effettuate a Gradisca negli ultimi mesi prima della chiusura, non ci risulta che ci fosse una moschea, ma al massimo una stanza adibita a luogo di preghiera, cui comunque i detenuti non avevano accesso, essendo in tutto il periodo estivo costretti a deambulare solo nelle “vasche” su cui si affacciavano le camerate.

- 4.“Sappiamo bene inoltre dei danni provocati nell’infermeria, resa inagibile, degli episodi di grave autolesionismo (perfino l’inghiottimento di pile) con lo scopo di farsi ricoverare all’ospedale e da qui scappare.”
Segnaliamo al Piccolo un video che evidentemente non è mai stato visionato dalla redazione, realizzato ed ampiamente diffuso (e pubblicato anche dal Fatto Quotidiano), realizzato dalla campagna LasciateCIEntrare nel maggio 2014. In questo video si racconta l’altra faccia delle rivolte, fatta di pestaggi ai danni dei migranti e lanci di lacrimogeni al CS (usati solitamente per disperdere i manifestanti in spazi aperti)...nello stesso video Jacopo Nicoletti, medico che ad agosto lavorò proprio nel CIE, racconta di come l’infermeria fosse stata resa inagibile dai gas lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine, che erano arrivati fino a quello spazio. Per quanto riguarda la implicita facilità che l’autore dell’articolo sembra riscontrare nel farsi ricoverare al pronto soccorso, facciamo notare che ogni giorno, dalla sua apertura alla chiusura, i detenuti del CIE si sono inflitti le forme più diverse e dolorose di autolesionismo. Abbiamo visto tagli in ogni parte del corpo (ferite superficiali, ma anche tagli molto profondi), bocche cucite, persone che hanno ingoiato liquidi corrosivi e oggetti di ogni tipo, abbiamo visto persone bucarsi la faccia con una penna, ma rispetto a tutto questo gli accompagnamenti in ospedale sono stati pochi e rari sono stati i ricoveri. Al CIE di Gradisca ci sono stati inoltre anche tentativi di suicidio, c’è chi ha provato ad impiccarsi, chi si è tagliato le vene e chi ha ingurgitato grandi quantità di psicofarmaci. La sofferenza portata dalla detenzione non può essere banalizzata o svilita a mera strategia di fuga. All’uscita da una visita il responsabile del Dipartimento di Salute Mentale ha dichiarato "Non vedevo persone ridotte in questo stato dall’ultima volta in cui sono entrato in un manicomio, è terribile"

- 5. «Sono i momenti peggiori - spiega Antonina Cardella, responsabile del Cara per la Connecting People, la società che ha gestito e forse gestirà di nuovo il Cie - . Quando gli ospiti hanno la possibilità di parlare con qualche politico l’effetto rabbia è immediato. E le rivolte sono la conseguenza».
Le dichiarazioni della responsabile di Connecting People sono sconcertanti: attribuire alle visite dei politici (che, ricordiamo, non hanno libero accesso alla struttura, il che la rende molto meno trasparente di un carcere) le rivolte significa ignorare il quadro che emerge comunque dall’articolo. Pensare che serva la visita di un politico a ricordare ai detenuti l’inferno in cui vivono significa considerarli alla stregua di bambini senza coscienza di sé, e sembra implicitamente suggerire che queste visite sarebbe meglio evitarle, sottraendo al mondo della politica e della società civile l’unico strumento di monitoraggio della situazione all’interno dei CIE.

- 6. Sembra impossibile che un essere umano possa arrampicarsi sulle sbarre e saltare oltre da quell’altezza. Invece succede. «Per tutto il giorno non fanno altro che pensare a come uscire - spiega il prefetto - Si tratta di persone aitanti e allenate, con fisici straripanti. Riescono in imprese apparentemente impossibili».
Le “imprese” dei detenuti sono talmente impossibili che per impedire loro di compierle si arriva a scatenare piogge di lacrimogeni in spazi semichiusi, come se ci si trovasse davanti a persone armate fino ai denti. Ricordiamo che nel già citato video prodotto da LasciateCIEntrare viene mostrato un confronto tra il Prefetto e Tenda per la Pace e i Diritti, in cui di fronte alla richiesta di chiarimenti sull’uso “eccessivo” della forza sui migranti egli sostiene che “si è trattato di rivolte importanti”. Dobbiamo forse aspettarci di vedere entrare a Gradisca i carri armati, se le rivolte dovessero essere “ancora più importanti” in futuro?

Ci chiediamo infine come sia possibile che in questo articolo non venga citata la storia di Majid, caduto dal tetto del CIE proprio in quell’agosto di rivolte, e morto dopo mesi di coma lo scorso 30 aprile. L’inferno di cui si parla è quello in cui una persona ha trovato la morte, morte per cui ancora non si conoscono le responsabilità, morte che segna irrimediabilmente la storia del mostro di Gradisca. Forse, un po’ di memoria storica farebbe bene a tutti noi.

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